Roma è molto grande, al punto che alcuni suoi quartieri appaiono remoti, e perciò estranei ad uno dei tanti immigranti come me. Anche per questo, come accade a molti altri romani, la parte della città che amo di più è il mio quartiere: il Quadraro. E il posto che amo di più del Quadraro è Largo Spartaco. E’ una piazza per me affascinante per diversi motivi; dal punto di vista archiettonico si distingue perchè delimitata da un lato dal grande palazzo dalla forma a boomerang, che tanto mi piace, opera dell’architetto Muratori e parte integrante di un ampio progetto di edilizia economica e popolare degli anni 50 che oggi caratterizza una parte del quartiere.
Inoltre, è da ricordare che questo spazio è stato utilizzato come scenario da Monicelli (1977) nel film “Un borghese piccolo piccolo” , e prima ancora nel 1962 da P.P. Pasolini in “Mamma Roma“, il che dà anche un’idea intuitiva di quello che la piazza ha rappresentato in certe fasi del ventesimo secolo. Gli agricoltori inurbati, le nuove comodità della modernità ed anche una certa eleganza, una nuova comunità con tutte difficoltà della convivenza.

Oggi, anche se è troppo invaso dalle auto, non si può dire che questo posto rimanga solo un simbolo del passato. Anzi le mille anime di un quartiere oggi piuttosto popoloso fanno vivere la piazza in un presente forse poco consapevole di tutto quello che rappresenta per me e per la storia della città. A largo Spartaco ci sono una pizzeria, un bar e una birreria molto frequentati, e colorati murales opera di valenti urban artists come Diavù, Diamond o altri che hanno lavorato nel quartiere.

Adicenti alla piazza ci sono il mercato coperto e la strana chiesa dello stesso periodo che pur essendo dall’altro lato della strada, è pressoché invisibile perchè per qualche motivo si trova ad una quota più bassa del livello stradale di almeno 6-7 metri.
Ma la cosa che per me più caratterizza oggi Largo Spartaco è il settimanale Mercato Contadino Urbano, che per me rappresenta un appuntamento obbligato se mi trovo in città. Io lo considero un lusso che l’amministrazione della circoscrizione mi concede di incontrare agricoltori ed i loro prodotti senza spostarmi da casa più di tanto. In cosa si distingue da un comune mercato? Proprio per il fatto che dovrebbero essere gli stessi contadini a portare i loro prodotti in città ed incontrare direttamente i consumatori.
Per un consumatore come me, i Mercati contadini in città sono una soluzione vincente per tutti. Io apprezzo il fatto di venire a apprendere come viene prodotto il cibo che mangio e di poterlo fare in modo piacevole, facendo conoscenza con chi li lavora. Ai produttori la vendita diretta dovrebbe consentire maggiori margini di guadagno eliminando gli intermediari, . Certo questo sistema si adatta a chi almeno una volta alla settimana ha piacere a condividere coi suoi clienti un po’ della sua vita e del suo lavoro, assieme al prodotto.
Molti degli agricoltori e allevatori praticano l’agricoltura biologica ma a dire il vero non è tanto questo che mi porta a recarmi a Largo Spartaco tutti i Sabati mattina. La certificazione bio, come altri marchi d’origine e qualità, serve alle aziende alimentari a comunicare col consumatore per il tramite del prodotto alcune informazioni che stabiliscano fiducia e lo rassicurino. Io non ho bisogno di questo perchè il rapporto di fiducia lo stabilisco (in alcuni casi) direttamente con chi ha lavorato al suo prodotto e con orgoglio lo trasferisce nelle mie mani. La qualità del prodotto la discutiamo in una conversazione ricorrente in cui si può stabilire un’intesa e una fidelizzazione. Gli esperti di marketing ci insegnano che molti dei nostri acquisti hanno un connotato emotivo. Bè in questo caso è ancora più chiaro.
Quando compro una bottiglia di vino dal mio fornitore Simone, non è certo il marchio bio quello che mi fa sentire sicuro di quello che bevo, ma la innegabile vitalità e genuinità dei suoi (troppi) marchi, uvaggi, etichette.
Quando compro le uova fresche e il formaggio da Riccardo (quello col pugno chiuso) non posso avere dubbi sull’autenticità di quello che mi racconta, e se lo conosceste sarebbe lo stesso per voi. Fra l’altro tengo una gallina in pensione da lui in virtù di un contratto semplice e geniale di cui magari parlo un’altra volta, che per me ha l’unico difetto di attribuirmi il potere di scegliere la data della fine della sua vita (della gallina).
Un giorno o l’altro li andrò a trovare nelle loro aziende, ma già così è per me di grande valore il fatto di sapere di incontrarli a Largo Spartaco tutte le settimane. Con loro ci sono altri agricoltori-venditori che mi stanno simpatici e di cui apprezzo la scelta di vivere e lavorare la campagna, al punto da volerla sostenere con i miei acquisti. So che i mecrati contadini urbani non possono essere la soluzione per tutti i problemi della filiera alimentare. Io stesso non compro lì tutto quello che mi serve. Ma mi sembrano una cosa bellissima. A volte le soluzioni sono facili.
E (per gli urbainisti in ascolto) il luogo della prima inurbazione dei migranti del ventesimo secolo verso la capitale, rimane così il luogo in cui il legame città-campagna, per quanto esile, continua a mantenersi vivo.
(prime due foto courtesy Romasparita, e Diamond)