La politica dello sconosciuto

12 aprile 2018

Credo di non essere il solo per cui vale quello che sto per dire: io in politica mi sento vittima di una sorta di miopia che si esprime come un pregiudizio negativo verso i candidati che conosco di più.  Oppure si potrebbe dire che mi affascinano i personaggi di cui so meno cose, spesso perchè si sono affacciati sulla scena politica di recente.  Ad essi tendo ad attribuire con una certa facilità, qualità che non ritrovo nei politici che seguo da più tempo.

E’ da notare che avevo cominciato a scrivere questo post prima di conoscere i risultati delle recenti elezioni in Italia, che mi sembra confermino questo tipo di ragionamento.

Chi abbiamo già visto all’opera parte svantaggiato rispetto a chi può sostenere che con lui/lei tutto andrà in modo diverso.

Che fare rispetto a quest’ingiustizia?  Da un lato, nelle mie recenti scelte elettorali mi sono sforzato di avere un approccio empirico, evidence-based, alla mia scelta di voto, per controbilanciare il mio pregiudizio.  Ossia ho cercato mettere sul piatto della bilancia della mia scelta solo fatti provati riguardanti i comportamenti passati di ciascun candidato (e non dicharazioni o idee anche avanzate, che riguardano il futuro). Dall’altro lato, però, penso che questo sbilanciamento, che certo dipende da come la nostra mente funziona, possa essere una forza di contrasto alle derive autoritarie, dando un vantaggio sempre agli outsiders rispetto agli incumbents.  Quindi forse meglio così.

 

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Gli spazzini volontari e la necessità di uno Stato

11 marzo 2018

Da qualche tempo a Roma (e altrove?) si possono incontrare giovani di chiara origne africana che volontariaente si mettono a spazzare dei marciapiedi piuttosto sporchi in posti dove c’è molto passaggio.  In cambio chiedono una piccola donazione con un messaggio tipo quello della foto.  A principio vederli fa piacere: alcuni trovano la cosa intelligente; altri inteneriti lasciano qualche moneta.

Sembrano sopperire ad un servizio pubblico carente e suscitano simpatia perchè preferiscono rendersi utili piuttosto che chiedere l’elemosina in cambio di nulla.

Però poi, se prestiamo un po’ più di attenzione a ciò che veramente fanno, magari fermandoci qualche minuto a guardarli, ci rendiamo conto che la situazione è un po’ meno desiderabile di quello che sembra.

Una volta trovato un posto conveniente dove c’è un discreto passaggio di gente, lo spazzino volontario  non lo pulisce veramente.  Spazza continuamente negli stessi punti spostando con la scopa mucchietti di sporcizia di qua e di là, senza mai veramente portarla via.  Perchè dovrebbe? E’ l’atto di scopare quello che gli procura le donazioni, più che il risultato di pulizia.  Diverso sarebbe se un gruppo di cittadini residenti o negozianti della zona lo retribuissero solo a lavoro completato, quando il marciapiede è pulito.

Tutto ciò mi fa rendere conto della necessità che abbiamo di un servizio pubblico.  Le nostre tasse non sostengono solo il moto delle braccia di chi spazza, ma anche il lavoro di chi organizza e verifica.   Non sempre questa catena di servizi funziona, lo sappiamo, ma è difficile sostituirla con inizative volontarie ed estemporanee i cui promotori non hanno gli incentivi giusti.

 


The Masters of Networks and me

18 Maggio 2014

Few days ago in Rome I have taken part in the meeting Masters of Networks II, as part of the Insite project.  Insite is an interdisciplinary research and collaboration project in which David Lane, Paolo Gurisatti and Alberto Cottica are involved: all people that I look at with a mixture of reverence and curiosity.  Many other friends and colleagues were there: Federico Bo, Fabiana Zeppieri, Matteo Fortini and  others that would equally deserve to be mentioned.

The idea behind this event, as I understand it, was simple and powerful: public policies nowadays recognize the importance of networks; sometimes they go as far as declaring their aim to use them as instruments towards their goals, or even to promote their development.  In practice they often do not undenstand networks much. On the other side we have analysts and researchers who have devised powerful tools to describe and analyze networks. The cultural ditch between the two groups – network analysts an policy-makers – is wide and deep.  The two days were meant to be spent by the two communities  to familiarize with each others and to find applications for SN Analysis in response to the problems perceived by public policy.  In our case, we were planning to use the open data released by the Italian Ministry of University Research and Education, the  database of collaborative research projects funded by the national program (PON R&C) funded between 2007 and 2013 by the European Fund for Regional Development.

How did it go? Did it work?  What did I learn about SN analysis and its possible applications?

What factually we ended up doing in the sub-goup I participated in, is reported here.  Let me here focus on a few points of more general interest.

< here a colourful image of the work we did was supposed to appear.  Unfortunately I do not possess a good picture and  honestly it adds very little to the points I am trying to make > 

From my point of view, it was a partial success  in the sense that I intuitively sense the potential for fruitful application of SNA and remain interested in this method, but I have yet to witness the production of any significant  result which  has real implications for policy evaluation or design.

To elaborate in a little more detail:

  • SNA is presented as a mathematical method, and it certainly is if one thinks of things like the indicators that describe the properties of nodes within the network.  However, the images it produces as outputs convey so much insight to the layman, and have the beautiful property of condensing in one snapshot some features of the network, that they seem to me to be more than simply one possible representation of the analysis. If the attention of the novice to SNA is directed almost exclusively towards the pictures, this must mean something. Looking at this method from the outside the images seem to be something more inherent to the method and its current popularity.  To many, the value of SNA is in the big picture comprehensive view more than in the capability to describe the details or the network dynamics.
  • In my opinion, despite the good intentions of everyone, the encounter between policy-makers and social network analysts does not start, and does not proceed, on an even ground. When only one of the two groups holds the keys to the inner workings of this method of analysis, which cannot be transferred in one or two days, then the exhange is necessarily unbalanced. It might be a problem common to any interaction between experts of methods and experts of content-problems, and thus inevitable. Whatever the reason, the feeling that permeates the meeting is that of a one-directional flow of knowledge from the social network field towards the policy field, as if the first form of knowledge were superior to the latter.
  • The degree of interest that such analysis exerts on me is largely determined by the quality of the information available on the links, or “edges” in the SN jargon.  This quality is inevitably, or has always been in the cases I have observed, quite low or in any case not satisfactory from my point of view.  When all links are the same, networks are dull objects to examine.
  • Network science exerts a cetripetal force on me in the sense that as I observe its results largely in the form of graphical outputs, I start becoming curious of the algorythms that are at work behind it.  How “real” is that network form, how sensitive to parameters arbitrarily determined by humans?
  • The gathering together in one room of policy-makers and network scientists has something disorienting in its first moments.  It lacks basic rules of functioning.  Most people don’t really know how to interact with each others because they don’t know why they are there and what they can ask, expect, contribute.  In general I find this aspect intriguing for its fundamental open-endedness.

In general I am a bit confused about what to expect from this work, my mind seems to stop short of fully understanding both the implications and the contours of this method of social inquiry.  That’s why I want to look into it more, and do it again.


L’amministrazione non sa decidere

10 ottobre 2013

Si dice spesso che la politica non sappia decidere, ma dal mio punto di vista, anche l’amministrazione spesso si rifiuta di fare la sua parte non decidendo circa l’uso di risorse scarse fra possibili usi, e destinatari alternativi.  Questo accade in particolare quando decidere implica esercitare la propria discrezionalità di umani, applicando al meglio delle proprie conoscenze criteri opinabili.  Ci sono diversi motivi per cui questo accade.

Intanto, perchè me ne occupo. Visti dall’interno della pubblica amministrazione, i problemi sono un po’ diversi da come li immagina e li rappresenta chi ne sta all’esterno.   Spesso gli amministratori sono sospettati di essere incompetenti o pigri, o peggio, di indirizzare le risorse arbitrariamente verso persone, territori, ed imprese che li meritano meno di altri.  In realtà quello che osservo più spesso è che essi fanno di tutto per non essere sospettabili di ciò e per questo…. preferiscono non fare.  Oppure decidono di utilizzare criteri di allocazione di risorse ottusi purchè oggettivi, ingiusti per eccesso di egalitarismo: del tipo frazionare le risorse fra tutti i potenziali beneficiari senza valutare chi le meriti di più. Non decidono insomma.  Per molti burocrati la situazione da evitare a tutti costi è l’accusa di abuso d’ufficio, il ricorso.  (siamo il paese dei ricorsi: ammiro quelli tra voi che non hanno mai presentato un ricorso in tutta la loro vita).  Quindi meglio non lasciare nessuno escluso o non decidere in favore di nessuno, per non essere accusabili di avere sbagliato. Bada bene, non ho scritto per non sbagliare, ma per non essere accusabili di avere sbagliato.

Quindi: economisti, opinionisti, maitres à penser, oltre che criticare quelli che nell’amministrazione dissipano il denaro pubblico in mala fede, critichiamo anche quelli formalmente onesti, ma che calpestano l’interesse pubblico per proteggere sé stessi in ossequio alla burocrazia.  Vi assicuro che sono molti di più dei primi.

 


Venture capital as a tool of development policy?

28 giugno 2012

When I first heard a venture capitalist talk about the kinds of projects they are looking for and the kind of risk they take, I thought: “hey, this is very similar to what we should be doing in development policy”.  If only we could strike a well-devised agreement with these guys, we could let them manage a piece of our public funds, and have them select projects that meet simultaneously our criteria and theirs.   It seemed the perfect idea: (1)  VC funds are revolving and thus do not get dissipated in the investment process; (2) the effect of this deployment of money would be additional in the sense that, if we endow VC funds with more resources, additional projects would receive funding that otherwise wouldn’t; (3) the selection is not distorted by clientelism or inefficiency because the interest of the public is aligned with that of the private fund managers who seek to increase the value of their capital.

Is it really so? Given that Venture Capitalists, after all, are financial investors, I am afraid that such agreements would run into the same problems  that have arisen whenever policy has tried to pursue public goals through financial institutions. Interacting with the financial sector is nothing new for development policies.  Public economic development Banks have operated for a long time, both at the national and international level and run large budgets in the form of grants, loans to public bodies and firms.   Private banks intermediate public incentives to firms in exchange for fees.  However,  these institutions in general seem to be more interested in reaping better-than-market conditions for the resources that the State makes available, in earning the fixed fees in exchange for the transactions,  but seldom seem to change their behaviour in the way it is desired and required for  the agreement to work.

The operations of private financial institutions are not easily aligned with the interest of the state.  Theoretically this partnership should work.  In practice there seems to be something in the nature of these financial institutions that makes them unsuitable to work in the interest of the state, while pursuing theirs.

What is it? I am afraid what I am about to say will appear simplistic, naive, almost racist.  I am coming to the conclusion that the problem rests in  the  nature of the people that work in finance. I fear it is something that has to do with the character and motivation of the people that are attracted to finance, and that staff the financial institutions.  A recent article in the Guardian supports my view using stronger words, that I don’t necessarily endorse.

A personal anecdotal experience contributed to my forming of this view. A few years ago  I was talking to a friend who had been working in the financial sector in London and had been recently laid off during the crisis of 2008.   The subjet of our cionversation was the behaviour of financial institutions, derivative financial products, and other operations that potentially cause problems to the stability of markets.  Some words  that he pronounced made such an impression on me that I still remember them literally: “actually -he said – now  that you make me think about it,  the best operations I have been working on in my career are those that, while formally respecting the law, have circumvented the substance of its aims”. I leave anycomment or interpretation of this statement to the reader.

The general point is that without some degree of public mindedness, every agreement between the State and private intermediaries can be formally respected, but circumvented in practice by the private side to extract extra-profits shielded from the forces of competition, without producing the intended public good.

Are venture capitalists similar to other financial operators?  Are they all the same?


La corruzione è inferiore a quello che si pensa

11 dicembre 2011

E’ già da un po’ di tempo che penso che l’entità della corruzione e del clientelismo sia sovrastimata.  Questo non sarebbe un problema particolare se non fosse che diffondere una visione della realtà più negativa di quella che è deprime tutti, e induce alcuni a comportamenti coerenti con quello che si pensa sia un andazzo generale.  Ci sono almeno due forze che spingono a formarsi un immagine più corrotta della società di quella che veramente è:

  1. Esistono un buon numero di consulenti che lasciano intendere ai propri clienti di poter ottenere dallo Stato un trattamento preferenziale in virtù di conoscenze e relazioni privilegiate che possono vantare, quando questo non è vero.  E’ evidente l’interesse che questi intermediari possono avere a millantare simili relazioni: in questo modo cercano di differenziarsi da altri che offrono i medesimi servizi e che, come loro, agiscono nella legalità.
  2. Cittadini cinici o pigri dichiarano di non voler competere per l’accesso a risorse che lo Stato aggiudica con modalità competitive come appalti o impieghi pubblici, perchè questi sarebbero illecitamente assegnati “sempre ai soliti raccomandati”.  Si tratta evidentemente di un alibi per non impegnarsi, evitando così delusioni quali la scoperta di non essere al livello dei migliori.

Conosco queste dinamiche perchè le ho incontrate ambedue nella mia esperienza diretta tra le persone che mi circondano. In ambedue i casi, quello che lascia interdetti è il desiderio attivo di vedere riprodotta una società corrotta.  Dal punto di vista dei consulenti, perchè l’immagine della corruzione dei funzionari pubblici è qualcosa su cui costruiscono il proprio potere di mercato sulle persone disinformate.  Dal punto di vista dei cittadini, perchè “il sistema corrotto” è qualcosa di esterno a sé su cui scaricare la colpa per il proprio insuccesso percepito.  Le persone che vogliono credere che i successi di tutti gli altri siano immeritati perchè costruiti con scambi illeciti e relazioni preferenziali non ammettono la prova contraria, o meglio, trascurano i molti esempi di concorsi pubblici amministrati correttamente, e pubblici amministratori scrupolosi per soffermarsi sono sugli esempi, che pure esistono, di scandali ed abusi.

Se si potesse dimostrare che siamo per la stragrande maggioranza persone per bene, questo per molti sarebbe una cattiva notizia.


Io e la Repubblica: aggiornamenti

2 giugno 2011

Il 17 Marzo, in occasione del 150ennale dell’unità d’Italia annunciavo l’interruzione del mio rapporto di lavoro con il Dipartimento per lo Sviluppo Economico, dove avevo lavorato per più di otto anni prima al ministero dell’Economia, poi in quello per lo Sviluppo Economico.  Oggi due Giugno, per combinazione anche stavolta in occasione di una solenne celebrazione del nostro Stato Repubblicano, rientro nei ranghi del Ministero  come componente dell’Unità di Valutazione.  Il Ministero mi ha rinnovato l’incarico e la fiducia.

E’ il lavoro che mi piace fare e sono contento perchè non sono costretto ad abbandonare l’ipotesi di fondo che ha finora guidato le mie scelte ed il mio operato:  che le istituzioni ed il mercato premiano la buona fede e la voglia di fare.   So che questo è vero solo nei grandi numeri, nel medio periodo, e non proprio sempre.  Ma si tratta di un principio guida a cui per me è importante credere, perchè mi aiuta a vivere meglio.

Sono contento di poter continuare a fare qualcosa per il paese in cui vivo.


Open data dove meno te lo aspetti

18 aprile 2011

Domani parlo alla camera dei deputati.

http://www.agoradigitale.org/eventodatiaperti

Chi l’avrebbe mai detto che avrei scritto una frase del genere. In questi ultimi anni mi sono impegnato per produrre e diffondere informazione obiettiva sull’operato dello stato, anche scontrandomi con la politica e con l’alta amministrazione che di solito alla trasparenza preferiscono la promozione dei propri interessi e della propria immagine.   Domani parliamo di dati aperti proprio alla camera.  Sono curioso.


La mia storia (interrotta) con lo Stato Italiano

17 marzo 2011

In occasione dell’anniversario della repubblica voglio raccontare la mia parabola di dipendente pubblico come atto di amore (anche se tradito) per lo stato italiano: un’ istituzione in cui nonostante tutto ancora credo e spero.

Nel 2002, appena completato il mio PhD all’MIT di Boston sono tornato in Italia.  Avevo studiato politiche pubbliche e sviluppo internazionale ed ho pensato così di portare le mie conoscenze, e soprattutto la mia voglia di fare, al servizio del paese che mi aveva cresciuto ed educato.  Oltretutto, il ritorno in Italia mi era imposto dal fatto di avere beneficiato di una borsa di studio Fulbright – un programma che, essendo cofinanziato dal Ministero degli affari esteri, vietava di rimanere negli USA al termine degli studi se non fossi prima tornato per almeno due anni in Italia.  Tornavo anche attratto da una sfida stimolante: il Ministero dell’Economia e Finanze proponeva allora una politica di sviluppo regionale per le aree arretrate del paese per molti versi nuova, e scommetteva su persone che come me non potevano contare su conoscenze importanti nella politica o nell’alta amministrazione.

Sono stati anni appassionanti in cui tra mille difficoltà abbiamo cercato di proporre riforme, decentramento, sperimentazione, discussione partenariale fra amministrazioni e fra queste e rappresentanti del privato, un certo grado di trasparenza e valutazione delle politiche.  Poi le cose sono andate gradualmente deteriorandosi.  Le competenze gradualmente sono state sempre meno apprezzate, la routine è prevalsa sul tentativo di migliorare sempre le cose.  Ci sarebbero troppe cose da dire, e le responsablità non sono certo di una sola persona o di pochi. Meglio saltare quindi al finale: il mio incarico all’Unità di Valutazione è scaduto il 10 ottobre scorso, ma i miei capi hanno continuato a farmi lavorare, retribuito, rassicurandomi sulla volontà dell’amministrazione di tenermi.  Poi, a ciel sereno, il 24 gennaio il ministero mi ha comunicato che dal primo febbraio sarei stato sospeso dal lavoro e dalla retribuzione.

Il Ministro non ha mai voluto fimare il mio rinnovo, nè si esprime in senso contrario ad esso.  Io sono a casa in cerca di lavoro.  I progetti che portavo avanti, fra cui Kublai,  hanno subito un duro colpo soprattutto per il protrarsi dell’incertezza, anche se credo che alcune cose vengano portate avanti. Nella mia stessa  situazione sono altri cinque componenti del Nucleo di Valutazione dove lavoravo.  Non mi lamento se vogliono mandarmi via, avrei voluto solo che l’amministrazione mostrasse un po’ di rispetto per il mio lavoro, una volontà o un senso di direzione di qualunque genere che, se reso pubblico, avrebbe consentito a me ed agli altri di fare scelte conseguenti e non improvvisate.  La mia posizione l’ho scritta in questa lettera che, l’ultimo giorno in cui ho lavorato, ho inviato al Ministro sul cui tavolo giace la mia richiesta di rinnovo.  Non ho ricevuto risposta.


Gli open data italiani? Detto-fatto

9 novembre 2010

IL 17  Settembre parlavo qui di open data e del progetto di un sito in cui raccogliere link a tutti i dati amministrativi che le amministrazioni già condividono con il pubblico.  Da allora sono successe alcune cose:

1.prima si è formato un gruppo di google che discute animatamente di come realizzarlo dal punto di vista del  software, della licenza d’uso, del tipo di dati pubblici da linkare, dei rapporti con società ed iniziative imprenditoriali in questo campo; chi è interessato a questo dibattito che io trovo di livello piuttosto alto è invitato ad iscrivervisi

2. poi è’ andato online la settimana scorsa il sito web spaghetti open data. Ha un design essenziale ma efficace, è completamente autofinanziato da alberto cottica che ha lanciato l’idea e comprato l’hosting, ma soprattutto dalle molte ore di lavoro di sviluppatori straordinari come federico e matteo.  Ogni ringraziamento a queste persone sarebbe insufficiente.  Invito ancora una volta tutti coloro che sono a conoscenza di dati rilasciati dalla Pubblica Amministrazione italiana sul web, a segnalarli agli amministratori del sito.

Insomma, in puro spirito hacker (civico) se una cosa è buona è bene discuterne, ma contemporanelamente la si fa pure.  Perchè per fare una cosa bene bisogna appunto farla, e poi migliorarla gradualmente con l’esperienza ed il contributo degli altri.  L’intento di noi di spaghetti open data fra l’altro non è di occuparci per sempre del sito istituzionale sugli opendata, che prima o poi verrà fuori, ma di stimolare lo stato italiano a farlo presto e bene.  A volte le cose rivoluzionarie sono più facili e rapide da realizzare di quello che ci si aspetta.