L’Opera Valorizzazione della Sila: ruderi della modernizzazione della Calabria

12 febbraio 2010

Sentire che gli immigrati di Rosarno vivevano accampati in condizioni disumane in una ex fabbrica nota come l’Opera per la Valorizzazione della Sila, mi ha dato da pensare.  Il motivo è che per me l’OVS è un simbolo fortemente positivo, trattandosi dell’ente che ha portato avanti l’intervento più serio che lo stato italiano ha fatto per portare la civiltà ed il benessere in Calabria. Si tratta della riforma agraria dei primi anni 50.  Una manovra decisa e ben studiata, totalmente top-down e fondamentalmente riuscita, con cui sono stati espropriati i grandi latifondisti assenteisti del Marchesato di Crotone e del comprensorio di Caulonia. La riforma agraria calabrese non è stata la solita storia all’italiana.  In meno di tre anni l’OVS aveva espropriato più di 75.000 ettari e li aveva ridistribuiti a 12.000 famiglie, a cui assegnava non un nudo pezzo di terra, ma un podere dotato anche di una piccola casa colonica.

Poi, va bene, molte cose non sono andate come ci si aspettava.  Dopo le importanti bonifiche, i rimboschimenti e gli invasi costruiti dalla Cassa peril Mezzogiorno, molti poderi sono stati abbandonati anche per effetto del boom economico che induceva molte della famiglie ad emigrare verso le città del Nord.  A detta di tutti la  fase successiva, quella in cui i nuovi agricoltori sono stati raggruppati in cooperative e poi sono stati realizzati impianti di trasformazione di materie prime, come probabilmente era quello di Rosarno, ha avuto risultati meno felici.  Più tardi ancora, negli anni sessanta si è passati al tentativo di industrializzare la Calabria, largamente fallito.

Ma se le cooperative di trasformazione e gli impianti industriali non sono riusciti, perchè non provare a recuperarne gli spazi per altri fini sociali?  Probabilmente costruire nuovi manufatti è meno costoso e dà più popolarità che risistemare quelli esistenti che vanno in rovina.  Ma l’immagine che rimane, e che ti insegue nel tempo, è quella dello Stato che fallisce e che non se ne cura, che si dimentica quello che fa e lo lascia andare in rovina.  Il successo del termine “cattedrali nel deserto” deriva dal fatto che quei metri cubi di cemento e ferro, anche se limitati,  rimangono lì negli anni, ed il loro peso nell’immaginario della gente oscura anche le tante cose che lo stato ha fatto di buono, ma che scompaiono dagli occhi della gente.  Come l’operazione di giustizia che gli eroi della riforma agraria italiana hanno fatto in Calabria.  Io qualcuno l’ho conosciuto e di altri ne ho sentito parlare, e vi assicuro che la loro Opera non merita di rimanere associata all’immagine di un fatisciente casermone che ospita immigrati sfruttati.

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