Viva la Gente

19 aprile 2012

Da stamattina mi risuona in testa una canzone che la maestra ci faceva cantare in seconda elementare.  Un motivetto semplice con un testo altrettanto semplice ma bello. Fa:

Viva la gente la trovi ovunque vai
viva la gente simpatica più che mai!
Se più gente guardasse alla gente con favor
avremo meno gente difficile
e più gente di cuor

Oggi per la prima volta dopo tutti questi anni sono andato a vedere che cos’ è.  E’ la traduzione di una canzone americana anni 60.

Ripensandoci, non ci sono insegnamenti più importanti che io abbia ricevuto in seguito.

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La scuola in Italia è un ascensore sociale: lo dicono i test (?)

23 giugno 2011

Non è sbagliato somministrare agli studenti test standard che misurino le loro competenze.  Sbagliata è la nostra tendenza  a dare a queste misure quantitative un valore eccessivo.  Come indicatori semplificati delle competenze degli studenti e del valore degli insegnanti, i punteggi dei test hanno chiari limiti, ma dal dibattito sembra quasi che l’unico rimedio a questi limiti sia di non calcolarli affatto.  Invece ci sarebbe da prendere quei deboli segnali che ci offrono per quello che valgono: che è poco, ma non nulla.

Come esempio degli utili segnali che i test ci danno vorrei prenderne uno incoraggiante per la nostra tanto vituperata scuola.  Recenti elborazioni  sui dati dell’indagine OCSE-PISA 2009 ci dicono che la nostra scuola offre opportunità di mobilità sociale a ragazzi che provengono da famiglie e contesti svantaggiati.  Infatti, quella percentuale degli studenti più svantaggiati per background socio-economico, che prende voti alti in matematica è maggiore in Italia che in quasi tutti gli altri paesi europei.  Superando il 30%, è più alta della media OCSE, è più alta che in Germania, Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Questo è un dato di cui dovremmo prima di tutto andare fieri, e poi dovremmo capire meglio.

Le informazioni sono solo una ricchezza. E’ l’uso che se ne fa che può avere effetti negativi sui comportamenti. Attualmente c’è in Italia un dibattito che è piuttosto critico sull’utilizzo dei test INVALSI per la valutazione degli studenti di terza media.  Spero anche in questo caso che il dibattito influenzerà solo la decisione riguardo al peso da dare loro negli scrutinii, ma che non metta in discussione l’opportunità di somministrarli.  Similmente, nella valutazione degli insegnanti, mi sembra giusto che i risultati dei test non diventino un fattore preponderante.  Negli USA, a cui molto ci ispiriamo, si erano forse spinti troppo in là nell’utilizzo di questi test a fini valutativi, come mostra l’interessantissimo dibattito che si è scatenato, per esempio, sul New York Times in tema proprio di valutazione degli insegnanti atraverso i risultati dei test.  Leggendo gli interessantissimi contributi di insengnanti, accademici e valutatori, mi sembra di capire che negli USA stiano avendo dei ripensamenti proprio mentre noi in Italia abbracciamo i test forse troppo entusiasticamente.  Cosa ne penso io? Me la caverò con uno di quegli aforismi ad effetto con cui non si sbaglia: per sviluppare forme di valutazione degli insegnanti più raffinate, è inevitabile passare per esperienze di valutazione imperfette.


La vera speranza del mio quartiere

19 dicembre 2010

Devo iscrivere mia figlia alla scuola elementare, ed allora sto cominciando ad interessarmi alla qualità delle scuole e dei maestri nel mio quartiere.  Ansioso come un po’ inevitabilmente sono tutti i genitori, mi confronto con altri genitori che si trovano nella nostra stessa situazione.  Devo premettere: io ho una propensione per la scuola pubblica e per il quartiere in cui vivo.  Vorrei che mia figlia godesse di quella straordinaria risorsa che è il sistema della pubblica istruzione italiana, insieme ai coetanei che cresceranno attorno a lei nel quartiere.

Qui comincia qualche difformità di vedute.  Da altri padri e madri sento dire cose che condivido poco.  Siccome  nel mio quartiere – una semi-periferia sud est di Roma – vivono una minoranza non trascurabile di immigrati soprattutto asiatici e dell’est europeo, molti genitori italiani cercano di iscrivere i figli in quartieri limitrofi in cui questi sono una presenza più rara. Oppure optano per scuole private in cui la popolazione scolastica è più selezionata e la didattica è considerata migliore.

A prescindere dalle considerazioni sulla scuola pubblica, io  sento di avere  rispetto a loro una visione diversa dei gruppi sociali che vivono nel mio quartiere.  Gli stranieri mi sembra in generale che attribuiscano un valore più elevato all’istruzione dei loro figli, rispetto a molte famiglie del posto.  Queste ultime temono che l’ eccessiva presenza di stranieri in classe coi loro figli li danneggi, ma io ho l’impressione opposta: che li avvantaggerebbe dando loro un ‘esempio di forza di volontà e di tensione verso la mobilità sociale.  Chi si è trasferito da migliaia di chilometri di distanza e lo ha fatto spesso a costo di molti sacrifici per aprire un piccolo negozietto o lavorare nelle costruzioni e per dare con ciò un avvenire ai propri figli, può insegnarci molto in termini di dinamismo e di  ottimismo.

Io non temo questo confronto:  spero solo che a scuola non siano troppo più bravi di mia figlia.