Non è sbagliato somministrare agli studenti test standard che misurino le loro competenze. Sbagliata è la nostra tendenza a dare a queste misure quantitative un valore eccessivo. Come indicatori semplificati delle competenze degli studenti e del valore degli insegnanti, i punteggi dei test hanno chiari limiti, ma dal dibattito sembra quasi che l’unico rimedio a questi limiti sia di non calcolarli affatto. Invece ci sarebbe da prendere quei deboli segnali che ci offrono per quello che valgono: che è poco, ma non nulla.
Come esempio degli utili segnali che i test ci danno vorrei prenderne uno incoraggiante per la nostra tanto vituperata scuola. Recenti elborazioni sui dati dell’indagine OCSE-PISA 2009 ci dicono che la nostra scuola offre opportunità di mobilità sociale a ragazzi che provengono da famiglie e contesti svantaggiati. Infatti, quella percentuale degli studenti più svantaggiati per background socio-economico, che prende voti alti in matematica è maggiore in Italia che in quasi tutti gli altri paesi europei. Superando il 30%, è più alta della media OCSE, è più alta che in Germania, Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Questo è un dato di cui dovremmo prima di tutto andare fieri, e poi dovremmo capire meglio.
Le informazioni sono solo una ricchezza. E’ l’uso che se ne fa che può avere effetti negativi sui comportamenti. Attualmente c’è in Italia un dibattito che è piuttosto critico sull’utilizzo dei test INVALSI per la valutazione degli studenti di terza media. Spero anche in questo caso che il dibattito influenzerà solo la decisione riguardo al peso da dare loro negli scrutinii, ma che non metta in discussione l’opportunità di somministrarli. Similmente, nella valutazione degli insegnanti, mi sembra giusto che i risultati dei test non diventino un fattore preponderante. Negli USA, a cui molto ci ispiriamo, si erano forse spinti troppo in là nell’utilizzo di questi test a fini valutativi, come mostra l’interessantissimo dibattito che si è scatenato, per esempio, sul New York Times in tema proprio di valutazione degli insegnanti atraverso i risultati dei test. Leggendo gli interessantissimi contributi di insengnanti, accademici e valutatori, mi sembra di capire che negli USA stiano avendo dei ripensamenti proprio mentre noi in Italia abbracciamo i test forse troppo entusiasticamente. Cosa ne penso io? Me la caverò con uno di quegli aforismi ad effetto con cui non si sbaglia: per sviluppare forme di valutazione degli insegnanti più raffinate, è inevitabile passare per esperienze di valutazione imperfette.